Le giovani donne con sindrome dell’ovaio policistico presentano un’alta incidenza di steatosi epatica non-alcolica


Negli ultimi decenni numerosi studi hanno messo in evidenza un’importante correlazione fra iperandrogenismo ed elevati livelli di insulinemia in molte pazienti affette da sindrome dell’ovaio policistico. La resistenza tissutale all’insulina determina aumentati livelli in circolo di questo ormone ed è alla base della sindrome metabolica, caratterizzata anche dalla presenza di steatosi epatica, la quale è anatomo-patologicamente caratterizzata dal accumulo di trigliceridi, sotto forma sia di macro-vescicole che di micro-vescicole, in più del 5% circa degli epatociti.

Uno studio ha valutato l’incidenza di statosi epatica non-alcolica in giovani donne con policistosi ovarica, sia di peso regolare che in sovrappeso od obese.

In particolare, sono stati presi in esame i livelli di glucosio, insulina a digiuno, il profilo lipidico e tutti gli indici di funzione epatica; la gravità e il grado di steatosi epatica sono stati stabiliti in base all’ecogenicità del parenchima epatico e alla visualizzazione o meno del circolo venoso intraepatico.

Lo studio ha dimostrato che la statosi epatica non-alcolica è una patologia frequente e comune in donne con ovaio policistico, soprattutto se con elevato indice di massa corporea ( BMI ).
Nelle donne magre è stata comunque riscontrata una percentuale d’incidenza del 40%.

Poiché la steatoepatite è un fattore di rischio per lo sviluppo di cirrosi e di carcinoma epatocellulare, appare utile effettuare una valutazione ultrasonografica epatica in tutte le pazienti giovani affette da policistosi ovarica, indipendentemente dal loro indice BMI e dai risultati della valutazione sierologica epatica.
Tale diagnosi collaterale alla diagnosi endocrina di policistosi appare importante poichè questa categoria di soggetti potrebbe essere trattata sia con Metformina che con tiazolidi onde ridurre e/o limitare sia la resistenza all’insulina che il danno epatico. ( Xagena_2011 )

Ciotta L et al, Minerva Ginecologica 2011; 63: 429-437



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